Lonely Living. L’architettura dello spazio primario
Nel lontano 2002 in occasione della VIII Biennale di architettura di Venezia fu richiesto a 18 architetti italiani di realizzare un progetto corale, una specie di villaggio ad alta densità. Il programma prevedeva che ciascun architetto, dopo aver scelto un proprio committente, progettasse uno spazio di circa 16 mq. partendo da due questioni esistenziali appartenenti alla vita metropolitana: il tema dell’emergenza e della temporaneità da un lato e quello dell’isolamento psicologico e della solitudine dall’altro. Questo programma dalla doppia identità provocò nei 18 architetti altrettante risposte: alcune semplici, pratiche e tangibili, altre complesse e articolate. Non venivano richiesti monumenti, opere d’arte o metafore, quanto piuttosto spazi primari dove potessero svolgersi le tre funzioni vitali dell’abitare: il dormire, il mangiare, l’espellere a cui gli architetti aggiunsero una funzione intellettuale, la contemplazione. Come nella realtà di qualunque progetto che va immaginato, disegnato e poi realizzato, gli architetti dovettero anche risolvere questioni tecniche legate al materiale democraticamente scelto uguale per tutti: pannelli a base di legno truciolare, dal colore marrone sordo senza particolari qualità tattili. Questa monomatericità andava assunta come punto di partenza e di arrivo, potendo rappresentare sia un vantaggio che un limite: povero e basico il materiale obbligava i progettisti a compiere un attento ragionamento che doveva valutare vari fattori: statici, decorativi, di durata, di montaggio… Ed ecco che ognuno a suo modo andò a creare un tassello del puzzle, componendo una sorta di labirinto, di kasbah, di villaggio delimitato da un robusto muro di cinta che ne enfatizzasse la densità e la via di accesso. Volendoli raggruppare i progetti potrebbero essere suddivisi per tipologia: la catasta – con luce naturale parcellizzata da centinaia di microfori che crea all’interno una atmosfera magica e trascendente –, l’armadio – un contenitore che alloggia gli oggetti necessari alla nostra sussistenza –, la terrazza – con una scala che porta poeticamente in alto dove il cielo diventa un panorama verso l’universo – lo spazio pubblico – dove interno ed esterno sfumano l’uno nell’altro creando portici, slarghi, mensole, varchi e soglie –, e infine il monumento una sfida alla missione sociale dell’architettura. A distanza di venti anni si è ritenuto opportuno tornare a indagare su come le questioni esistenziali della vita metropolitana e il tema dell’isolamento psicologico e della solitudine siano tuttora attuali, e di quanta evoluzione ci sia stata nel corso di questi due decenni sul tema dell’abitare minimo che soprattutto il periodo post-pandemico ha fatto tornare di attualità. Oggi come allora abbiamo chiesto a tutti i progettisti di riunirsi nuovamente, questa volta negli spazi di Rifugio Digitale, per presentare i propri progetti originari stavolta in formato digitale. Il materiale è stato proiettato sui 16 monitor dello spazio espositivo sotto forma di video, un racconto, narrato attraverso disegni, schizzi e le splendide fotografie scattate da Luca Campigotto e Pietro Savorelli.
Sulla base di un masterplan redatto da Ipostudio architetti, a ciascun architetto è stato consegnato un lotto pianeggiante su cui appoggiare una base strutturale di circa 5×5 metri. Su questa base è stato realizzato un prototipo-edificio-stanza di dimensioni massime – in pianta – di 16 mq, con altezza massima di 4 metri. Le misure sono da intendersi come massimo ingombro possibile. Gli edifici sono all’aperto, non sono dotati né di energia elettrica né di altri impianti. Ciascun edificio è realizzato in tutte le sue parti con un unico materiale: pannelli a base legno truciolare prodotti e forniti dal Gruppo Frati. Al progettista non è consentito utilizzare altri materiali. Gli edifici devono essere senza porte, finestre, vetri, strutture metalliche, rivestimenti o altro. Possono svolgere un ruolo importante i colori che comunque dovranno essere coordinati dalle direttive generali ossia quelle del masterplan. All’architetto quindi è vietato utilizzare lo spazio per promuovere o mostrare il proprio lavoro in qualsiasi modo. L’edificio-stanza corrisponde all’esposizione, che si conclude anche nell’arredo minimale necessario per rendere abitabile (in modo dimostrativo) questo luogo. Il tema che accomuna ciascun edificio è la dimensione sociale del costruire, l’emergenza legata agli immigrati extra-comunitari, agli homeless, agli anziani, ai bambini e a tutti coloro che vivono nel disagio ambientale e spaziale e che hanno la necessità di vivere almeno temporaneamente in una dimensione dignitosa. Inoltre il tema potrebbe estendersi anche agli edifici per la contemplazione, come il padiglione per l’artista, oppure il luogo di riflessione per lo scrittore. Ossia un luogo contemplativo dove far nascere le proprie idee. Edificio-casa per un extracomunitario, edificio-stanza per una persona anziana o portatrice di handicap, edificio-gioco per un bambino, edificio-cabina per un bagnante, edificio-rifugio per un alpinista, edificio d’emergenza per un terremotato, edificio-bungalow per le vacanze, edificio-stanza per la meditazione. Agli architetti si chiede un’architettura semplice da realizzare, chiara e sintetica nei suoi obiettivi, in cui sia identificato il significato sociale della propria proposta. Non sono richiesti in alcun modo piccoli monumenti autocelebrativi, né sculture, né tempietti, ma risposte originali a bisogni concreti da identificare in altrettanti committenti reali che ciascuno studio dovrà necessariamente indicare. Si chiederà pertanto ad ogni architetto non la casa per un artista o per un immigrato generico, ma per un committente specifico che poi presenziare durante l’inaugurazione dell’esposizione.
5+1 Architetti Associati, propone Domus-forum un progetto che vede la casa come rifugio e proscenio. Una gradazione di trasparenze che consente di creare relazioni differenti, con un alternarsi di zone “privateintroverse” e “private-estroverse”.
Lo studio Archea Associati presenta Buonasera Signor Ionda, progetto dedicato all’artista Franco Ionda che si fonda su un’idea di sottrazione materica.
Bruno, Fioretti, Marquez Architekten, propone La casa sottovuoto un alloggio provvisorio per grandi cantieri, che sia abitabile, trasportabile e facile da montare.
C+S Associati presenta il progetto Next Nest, una casa in un’enclave temporanea pensata per una telelavoratrice, un edificio-lavoro o spazio-lavoro che fornisca una “solitudine di difesa” rispetto al disagio della metropoli.
Alberto Cecchetto espone City home for the homeless un progetto pensato per cinque persone differenti alla ricerca di un luogo per dormire, uno spazio urbano protetto ma aperto costruito su pochi elementi.
Alfonso Cendron propone L’al di qua un progetto per un suo amico artista, una piccola casa immersa nel verde che soddisfi i bisogni primari come quello di possedere un comodo divano.
Lo Studio Davide Cristofani & Gabriele Lelli progetta Casa Lucarelli uno spazio temporaneo per lo scrittore di gialli Carlo Luccarelli. Si tratta di un luogo introverso, un mondo nel mondo dove rifugiarsi per essere concentrati soltanto su qualche frammento di realtà da cui far nascere racconti.
Nicola Di Battista presenta Per ri-trovare gli amici uno spazio senza una funzione specifica, ma solo per consentire il libero scambio di opinioni e di idee.
Elio Di Franco propone Il territorio del “singolo” un progetto per coloro che vivono da soli, per un architetto e urbanista single.
Vincenzo Melluso progetta Una scatola di luce, un gioco di sguardi un luogo e uno spazio per la solitudine pensato per l’artista Erich Demet, dove possa riflettere, dentro e fuori la sfera dell’arte e della creatività.
Netti Architetti espone Abitazione Temporanea un progetto pensato per un “nomade della visione”, una abitazione semplice ma suscettibile di continue variazioni d’uso.
Pietro Carlo Pellegrini propone Piccolo eremo un progetto per la solitudine dedicato allo studiolo di una monaca di clausura. Uno luogo che vuole stimolare il pensiero e la ricchezza della vita interiore, con pareti pieghevoli che possano scandire il tempo e lo spazio.
Renato Rizzi presenta Casa tabernacolo. Casa dell’emarginato o della devozione un progetto che fa riferimento all’ambito sociale, dedicando questa abitazione all’emarginato, all’escluso dalla comunità sociale e culturale occidentale, ma senza tralasciare l’ambito teorico dove la devozione alla nobiltà dell’architettura è la devozione alla nobiltà dell’umano.
Italo Rota propone Tutti al mare un luogo per l’incontro e il dialogo, dove le persone provenienti da continenti diversi si incontrano e dialogano fra loro.
Beniamino Servino espone Two-Ness. Unità di supporto per un “senza casa” un progetto che indica la frattura di spazio che c’è nelle due-ità. Da uno a due, dove l’uno siamo noi, la casa, l’interno, mentre il due sono loro, l’esterno, l’aperto.
Lo Studio Associato Seste presenta No thrills un progetto che non si presenta come un manifesto sociale, ma piuttosto come un esercizio di stile su alcune delle possibilità del linguaggio architettonico e sulle sue applicazioni su volumetrie semplici.
Tscholl Werner Architekt propone Casa con zaino un progetto che cerca di risolvere il problema dell’alloggio per l’operaio stagionale.
Cino Zucchi infine espone The Boho light trap un progetto che esplora il rapporto tra sfera privata e pubblica. Un’abitazione per un etologo e promotore di battaglie per la salvaguardia ambientale che si alterna tra un ambiente urbano e accademico ad uno più primario e selvaggio
Masteplan
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Manifesto
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Foto cantiere
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Foto finale
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Pubblicazione
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